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  • Divorzio: mantenimento non dovuto se la ex si rifiuta di lavorare

APS/  novembre 28, 2017/  CassazioneSentenze Utili/  0 comments

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COMMENTO DELL’AVVOCATO ANGELA NATATI ALL’ ORDINANZA

27/10/2017 n° 25697, Cassazione Civile,sez. VI-1

La Cassazione con la recente ordinanza in oggetto, ha stabilito che, in caso di divorzio, nessun assegno di mantenimento ex art. 5 L 898/1970 è dovuto se la ex moglie che si rifiuta di lavorare.

Nella vicenda processuale che interessa, i Supremi Giudici, in accoglimento del ricorso presentato dall’ex marito contro il decreto della Corte di appello circa l’attribuzione dell’assegno di mantenimento per la ex e i due figli presso di lei collocati ormai grandi, ha valutato l’inerzia della ex moglie nella ricerca di un impiego e del rifiuto dalla medesima, opposto ad una concreta opportunità lavorativa presentatale. In particolare, il ricorrente, lamentava che la Corte di merito aveva confermato la sentenza di prime cure, omettendo di esaminare le decisive circostanze previste nell’ art. 5, comma 6, legge n. 898/1970: “l’obbligo di somministrare un assegno laddove il coniuge non abbia mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni obiettive ”.

La Suprema Corte riconosce la fondatezza di tale doglienza, alla stregua del consolidato principio secondo cui deve trovare adeguata considerazione, nella decisione del giudice del merito, l’attitudine a procurarsi un reddito da lavoro, insieme ad ogni altra situazione suscettibile di valutazione economica, da parte del coniuge che pretenda l’assegno di mantenimento a carico dell’altro.

Il detto principio giurisprudenziale rileva maggiormente in sede di divorzio, e, come nel caso in esame, di figli ormai grandi, i quali, dunque, non necessitino della costante presenza fisica di un adulto.

Secondo gli ermellini, quindi, in sede di merito l’organo giudicante, al fine di stabilire la sussistenza dei presupposti dell’assegno di mantenimento e determinarne il quantum, deve tenere conto della effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, pur senza che assumano rilievo mere situazioni astratte o ipotetiche.

La sentenza impugnata, pertanto viene cassata, con rinvio, affinché il giudice di merito proceda, alla

luce del richiamato principio, ad un nuovo apprezzamento della vicenda esaminata e provveda di conseguenza,a determinare la riduzione o la soppressione dell’assegno di mantenimento, tenuto conto della capacità lavorativa della ex moglie e del rifiuto, ove ritenuto provato, della medesima rispetto ad occasioni di lavoro concretamente presentatesi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  • Il diritto del separato ai rapporti con gli Istituti Scolastici

APS/  novembre 8, 2017/  Sentenze Utili/  0 comments

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Commento dell’Avvocato Angela Natati ad un provvedimento assai peculiare pronunciato dal TAR del Fiuli Venezia Giulia (sez. I, sentenza 12/10/2017 n° 312)

Un padre di un ragazzo minore non ammesso alla classe successiva, aveva adito il Tribunale Amministrativo e, nel corso del giudizio era emerso – ed era pacifico fra le parti in causa – che la scuola avesse completamente omesso di interloquire con il padre durante tutto l’anno scolastico; infatti (come d’abitudine) ogni comunicazione e ogni contatto attraverso cui veniva manifestata alla famiglia il pessimo rendimento scolastico del minore, era intervenuto esclusivamente con la madre.
Il TAR ha ritenuto che “così facendo la scuola abbia violato le precise indicazioni contenute nella circolare ministeriale prot. n. 533/2015, volta a tutelare la bigenitorialità in ambito scolastico”.
Da ciò esso deduce che il ricorso è “manifestamente fondato in quanto il comportamento omissivo della scuola ha impedito al padre dello studente, ove tempestivamente informato della situazione scolastica del figlio, di adottare una serie di rimedi”.
Il Giudice prosegue motivando come il minore, nel suo pregresso andamento scolastico, avesse dimostrato una sua capacità di recupero, se effettivamente stimolato; ergo, in base ad un giudizio prognostico, se il padre fosse stato effettivamente informato del pessimo andamento del figlio, avrebbe potuto efficacemente intervenire favorendo una possibile promozione.
Tale sentenza, seppur “brillante ed innovativa” nell’affermare il diritto paterno a partecipare alla vita scolastica dei figli, stupisce sotto il profilo del risultato effettivo: l’annullamento sic et simpliciter della bocciatura, segno evidente di un modo di guardare alla promozione come una sorta di pretesa che si fonda sulla sola illegittimità della bocciatura, e non sulla acquisizione delle necessarie conoscenze da parte dello studente.
Ciò in quanto il minore in questione, al di là degli errori compiuti dalle istituzioni scolastiche – che non hanno consentito al padre la partecipazione attiva alla vita scolastica del figlio – effettivamente risultava inidoneo sotto il profilo formativo ad accedere alla classe successiva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  • Bigenitorialità: pari opportunità con i figli per i genitori separati

APS/  settembre 28, 2017/  Sentenze Utili/  0 comments

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Tribunale di Brindisi

Tutto nasce da un ricorso presentato da una madre nei confronti dell’ex compagno. La donna, tramite il suo legale, ha domandato di disporre l’affidamento condiviso della minore, con residenza presso casa della madre, imponendo al padre il versamento mensile di 700 euro per il mantenimento, oltre al 70% delle spese straordinarie.
Il padre, assistito dall’avvocato Giuseppe Angiuli, si è opposto facendo presente che dal 2013, vede assiduamente la figlia, quasi due settimane ogni mese, provvedendo in tutto e per tutto economicamente al suo mantenimento. Alla luce di ciò, questo padre ha chiesto di avere con sé la bambina in “misura prevalente” e di rigettare la richiesta di mantenimento.
Durante l’udienza, le parti si sono accordate su questa modalità di affidamento condiviso e, dunque, è stato disposto che padre e madre vedranno la figlia in tempi paritari, e durante la permanenza della stessa, ognuno di loro si farà carico di tutto ciò di cui la piccola ha bisogno. Per quanto riguarda il mantenimento, considerata la differenza reddituale, il padre dovrà versare mensilmente alla madre una somma di 300 euro al mese con il 60% di spese straordinarie da concordare preventivamente.
Il Tribunale di Brindisi, dunque, ha riconosciuto a ciascuno dei genitori il pieno diritto di vivere la sua relazione col figlio minorenne in totale parità, sia per quanto concerne il tipo di relazione genitoriale, sia dal punto di vista economico: “pertanto, secondo i giudici pugliesi, non sarebbe corretta quella diffusa prassi, seguita dalla maggior parte dei Tribunali italiani, tendente a stabilire il cosiddetto collocamento prevalente del minore presso uno dei genitori (solitamente la madre)”.
Quale conseguenza di una siffatta concezione in tema di affido, il Tribunale di Brindisi attribuisce una valenza generale alla regola del mantenimento diretto, superando la tradizionale forma dell’assegno di mantenimento in denaro che storicamente uno dei coniugi (generalmente il padre) versava al coniuge collocatario (generalmente la madre).
Dunque, questo padre potrà condividere lo stesso tempo che la figlia condivide con sua madre, intervenendo direttamente al suo mantenimento. Un precedente importante questo che potrà aprire la strada a tanti di quei genitori in lotta per l’affidamento e il mantenimento dei figli.

Ma ci sono pronunce in senso contrario

La Suprema Corte è di recente intervenuta sulla questione, con ordinanza n. 4060 del 15 febbraio 2017, prendendo spunto dalla richiesta di un genitore di modificare il regime di affidamento alternato, originariamente concordato, con un affidamento condiviso con collocazione prevalente. La Cassazione, in particolare, ha dato atto del limitato utilizzo in Italia dell’affidamento alternato, riconoscendo che lo stesso “…tradizionalmente previsto come possibile dal diritto di famiglia italiano, è rimasto una soluzione di limitate applicazioni, essendo stato ripetutamente affermato che esso assicura buoni risultati quando non vi è un accordo tra i genitori e tutti i soggetti coinvolti, anche il figlio, condividono la soluzione”. Ad avviso della Corte, inoltre, l’affidamento alternato, comportando una modifica continua della propria casa di abitazione, potrebbe avere “…un effetto destabilizzante per molti minori”.

In conclusione, pertanto, la Suprema Corte appare voler limitare l’affidamento alternativo ad un accordo in tal senso tra i genitori e ad una volontà favorevole del minore, manifestando un evidente pregiudizio al ricorso privilegiato alla c.d. “shared residence” ogni qualvolta vi sia tensione e difficoltà di cooperazione trai genitori.

 

 

 

 

  • Anche l’ex marito ha diritto al mantenimento dopo il fallimento del matrimoni

APS/  aprile 24, 2017/  Cassazione/  0 comments

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A statuirlo è la Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 26 ottobre 2016 – 10 gennaio 2017, n. 275 che, nel nel richiamare l’art. 5 della Legge Divorzio (Legge 1° dicembre 1970, n. 898), precisa che tale tipo di supporto economico periodico può essere disposto anche in favore dell’ex marito, qualora costui  “non abbia redditi adeguati e non sia in grado di procurarseli per ragioni oggettive”. La Suprema Corte sottolinea l’irrilevanza della durata del matrimonio, che nel caso di specie era sopravvissuto a due sole primavere. Infatti, errava il Giudice di primo grado ed anche la Corte di merito, nel ritenere la scarna durata delle nozze fatto idoneo ad elidere il diritto al mantenimento dell’ex consorte. Invero, precisa la Sentenza, il dato temporale della durata del rapporto di coniugio acquista rilievo solo in relazione alla quantificazione dell’assegno stesso, e non al diritto alla sua corresponsione. Naturalmente, corre l’obbligo di precisare che l’esame della richiesta segue, come da costante orientamento della Corte, il criterio dell’accertamento dell’inadeguatezza dei redditi dell’ex marito.

Avv. Angela Natati

 

 

  • Figlio conteso: a sei anni deciderà lui con chi stare

APS/  aprile 24, 2017/  Sentenze Utili/  0 comments

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L’innovativa decisione del tribunale per i minorenni di Trieste

Un bimbo conteso deciderà lui se stare col papà o con la mamma. Così ha deciso il Tribunale dei minori di Trieste, nel corso di un procedimento che va avanti da diversi anni tra un padre triestino, che ha in affidamento il figlio di sei anni, e la madre, originaria del Sudamerica, che ha nelle mani la sentenza di un tribunale del suo Paese secondo il quale il bambino dovrebbe restare oltreoceano.

E’ una decisione innovativa, quella del Tribunale triestino, poiché la legislazione, di norma, prevede di sentire l’opinione del bambino dopo i 12 anni. All’udienza davanti al collegio del Tribunale per i minorenni presieduto da Silvia Balbi (Elisabetta Moreschini a latere) il padre e la madre erano rappresentati, rispettivamente dagli avvocati William Crivellari e Paolo Gippone, e la madre con gli avvocati Michele Della Bella e Licia Amato.

La storia ha inizio sei anni fa, quando il bambino aveva pochi mesi di vita, la madre lo aveva portato nel suo paese d’origine per quella che avrebbe dovuto essere solo una vacanza. Tuttavia, alla scadenza del termine pattuito la donna non aveva fatto ritorno in Italia, tenendo con sé il figlio. Il padre del bambino, recatosi in Sudamerica, aveva attivato la convenzione Aja per i minori, chiedendo il rientro del bambino in Italia, paese in cui era nato, in cui aveva vissuto i primi mesi di vita e di cui aveva la cittadinanza. Il tribunale straniero, in primo grado, aveva accolto la richiesta del padre disponendo il rientro del bambino in Italia. Lo stesso genitore aveva anche ottenuto dal Tribunale per i minorenni l’affidamento esclusivo del figlio, affinchè il bimbo fosse immediatamente ricondotto nel nostro Paese. In Sudamerica, però, la decisione di primo grado non è esecutiva e il bambino è rimasto, quindi, all’estero finchè un giudice di secondo grado ha riformato la prima sentenza rigettando la richiesta del padre. Solo nel 2013, il padre del bambino è riuscito, dopo una serie di viaggi oltreoceano, a riportarlo in Italia, raggiunto poco dopo dalla madre che si è attivata innanzi alle autorità italiane chiedendo a propria volta l’applicazione della convenzione al Tribunale per i minorenni di Trieste. Lo stesso Tribunale però nel giugno 2014 ha rigettato la domanda ritenendo che il bambino sarebbe stato esposto a pregiudizio psicofisico se fosse stato rimandato in Sudamerica. Nell’aprile del 2015, la Cassazione ha annullato la decisione di secondo grado.

La decisione del tribunale dei minori ha stabilito ora che sarà lo stesso figlio conteso a scegliere a sei anni dove e con chi vivere. Il 13 febbraio prossimo si terrà l’udienza per la nomina di uno psicologo infantile che dovrà valutare se il bambino, che vive da quasi quattro anni in Italia con il padre e ha cittadinanza italiana, è in grado di razionalizzare la sua scelta. In tal caso, sarà a lui, quindi, che i giudici si rivolgeranno per capire in che paese dovrà crescere.

Fonte: www.StudioCataldi.it

 

  • Il diritto dei figli prevale sulla privacy, l’ex marito deve mostrare i conti

APS/  aprile 24, 2017/  Sentenze Utili/  0 comments

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Bari, sentenza del Tar
L’Agenzia delle entrate aveva opposto ragioni di riservatezza alla richiesta della moglie di conoscere la situazione patrimoniale del compagno da cui si stava separando ed è stata condannata a consentire l’accesso ai suoi archivi e a pagare le spese processuali.

Aveva chiesto di accedere all’archivio dell’Agenzia delle entrate del capoluogo pugliese per conoscere la situazione patrimoniale dell’ex marito o meglio i suoi ultimi “movimenti” finanziari, ma dall’ente ha ricevuto un secco no. Così una donna di Bari ha deciso di rivolgersi ai giudici del Tar che le hanno dato ragione, riconoscendo il suo diritto ad accedere alle informazioni, contenute all’Anagrafe tributaria, perchè, c’è scritto nella sentenza, gli interessi dei figli prevalgono sul diritto alla riservatezza.

La donna che ha vinto la sua battaglia dinanzi al Tribunale amministrativo si sta separando dal marito. Un procedimento non semplice, caratterizzato da accuse reciproche. La signora, in particolare, accusa il suo ormai ex compagno di non aver contribuito al menage familiare e di aver messo da parte risparmi che in realtà erano di entrambi e che comunque sono necessari per il mantenimento e la crescita dei figli minorenni. Un particolare non di poco conto, decisivo per la determinazione dell’assegno di mantenimento.

Per questo il caso, come spesso accade per le pratiche di separazione e divorzio, è finito sulle scrivanie dell’Agenzia delle entrate di Bari che, però, dinanzi alla richiesta della donna di poter visionare la reale situazione patrimoniale del marito ha opposto un secco rifiuto. La documentazione, hanno spiegato dall’ente, è riservata, contiene informazioni sensibili a cui neanche la moglie può avere accesso.

I giudici della terza sezione del Tar, però, sono di parere contrario. E per questo con una sentenza depositata nei giorni scorsi hanno bacchettato l’operato dell’Agenzia delle entrate che nell’udienza ha cercato di difendersi, appellandosi al diritto di privacy dei contribuenti. «La tutela degli interessi economici e della serenità dell’assetto familiare, soprattutto nei riguardi dei figli minori delle parti in causa – scrive invece il Tribunale amministrativo di Bari – prevale o quantomeno deve essere contemperata con il diritto alla riservatezza». I giudici del Tar per spiegare la propria decisione citano una sentenza del Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi su una richiesta analoga presentata da un uomo che chiedeva di avere più dettagli sulla situazione economica della moglie.

La decisione della terza sezione del Tribunale amministrativo di Bari è destinata a costituire un importante precedente. L’Agenzia delle entrate, condannata a pagare le spese processuali per 1.500 euro, ora avrà 30 giorni di tempo per consentire alla donna di poter visionare la documentazione richiesta e quindi di sapere se davvero il marito, durante la vita di coppia, abbia messo da parte risparmi comuni. Mentre l’Agenzia delle entrare ha cercato di difendere la propria decisione, l’ex marito della ricorrente ha preferito non costituirsi nel procedimento.

FONTE LA REPUBBLICA.IT

 

  • Provvedimento Presidenziale, consulenza psichiatrica per tutelare i minori

APS/  settembre 20, 2015/  Sentenze Utili/  0 comments

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Tribunale di Trani 18 marzo 2015, decr.

In un giudizio di separazione personale dei coniugi, il Presidente del Tribunale, all’esito dell’udienza di  comparizione delle parti davanti a lui, al fine di dettare i provvedimenti provvisori più opportuni per fronteggiare la situazione di crisi familiare e tutelare i figli minori ben può disporre una consulenza tecnica di ufficio per accertare la presenza e la gravità delle eccepite patologie psichiche di uno dei genitori e i possibili effetti pregiudizievoli per i figli.

Il caso e la soluzione del Tribunale:

In un giudizio di separazione personale dei coniugi, il Presidente del Tribunale, davanti al quale i coniugi sono comparsi, dato atto del fallimento del tentativo di conciliazione, nell’emettere i provvedimenti provvisori ed urgenti, rileva come dalle dichiarazioni delle parti risulti  evidente una effettiva situazione di conflittualità e insostenibilità della prosecuzione della convivenza familiare che giustifica la separazione.

Nel contempo rileva come dalla documentazione allegata e dalle dichiarazioni del marito sia emersa una patologia psichica della moglie ricorrente e che la stessa donna ha ammesso di fare uso di psicofarmaci; il che certamente incide sul regime di affidamento della figlia e, correlativamente, sull’assegnazione della casa familiare.

Pertanto, poiché i provvedimenti provvisori ed urgenti devono assicurare le esigenze immediate della famiglia in crisi, pur considerando la necessaria celerità della fase presidenziale, il Presidente decide di disporre una consulenza psichiatrica per valutare l’entità e la gravità della patologia della donna e se tale patologia possa essere pregiudizievole per l’equilibrio psicoaffettivo della minore. Non ritiene, a tal fine, ostativo il disposto dell’art. 191 c.p.c., che prevede che la nomina del consulente sia effettuata dal giudice istruttore; infatti, tale disposizione è evidentemente concepita con riferimento al modello del processo ordinario di cognizione, laddove il giudice istruttore è il soggetto investito della direzione del processo sin dal momento iniziale; la disposizione è ritenuta estensibile, pertanto, per analogia, nei giudizi di separazione e divorzio, al Presidente del Tribunale, dal momento che la nomina del giudice istruttore è successiva allo svolgimento della fase presidenziale, in particolare quando, come nel caso di specie, si impone una risposta immediata alle esigenze del minore in un clima familiare insostenibile, anche attraverso, appunto, la nomina di un CTU che possa affiancare il ruolo del presidente del Tribunale.

Sul tema non risultano precedenti nella giurisprudenza di legittimità.

 

  • Il giudice autorizza il trasferimento del genitore collocatario in altro luogo se non lede il preminente interesse del minore

APS/  settembre 20, 2015/  Sentenze Utili/  1 comments

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TRIBUNALE DI TORINO, sez. VII civ., decreto 5 giugno 2015

Nell’ambito della riforma del diritto di famiglia e, in particolare, della disciplina della filiazione (l. n. 219/2012 e successivod.lgs. n. 154/2013) in materia di scelta della residenza abituale dei minori e in linea con il dizionario europeo, è previsto che «la residenza abituale del fanciullo è scelta dai genitori di “comune accordo” … e in caso di disaccordo la scelta è rimessa al Giudice». La residenza abituale del minore è il luogo in cui questi ha stabilito la sede prevalente dei propri interessi e affetti e costituisce ex art. 145 comma 2 c.c. uno degli affari essenziali per la vita del bambino, tanto che l’assunzione della scelta di comune accordo da parte di madre e padre è necessaria anche in caso di affidamento monogenitoriale. Se c’è disaccordo è dato ricorso al Giudice.

IL CASO.  Dopo la separazione dal marito lei decide di trasferisi da Torino a Livorno: vuole portare con sé i figli minori e i nonni che l’aiuteranno a crescerli. Ma il padre dei bambini non è d’accordo perché a 350 chilometri di distanza rischierebbe di vederli solo di rado. Allora spetta al giudice stabilire se il trasferimento si può fare o meno verificando  l’interesse prioritario dei minori. E deve tenere presente come lo sviluppo armonico del minore preveda rapporti adeguati con entrambi i genitori. Nella specie il trasferimento della mamma è risultato praticabile. Il contestuale trasferimento nella nuova città dei nonni materni, insieme a figlia e nipoti, è stato giudicato dal tribunale un significativo elemento idoneo a consentire il mantenimento, in parte, dell’ambiente familiare conosciuto dalle bambine.
Alle suddette valutazioni, il Giudice torinese aggiungeva una ulteriore importante argomento: nel caso in cui non si fosse autorizzato il trasferimento della madre, infatti, le minori avrebbero comunque dovuto subire un cambiamento di collocazione, dovendo spostare il proprio abituale domicilio a casa del padre, già convivente con la nuova compagna, peraltro incinta.
Nella fattispecie, sussistono, dunque, per il giudice forti dubbi sulla concreta rispondenza all’interesse delle minori dell’inserimento improvviso nel nucleo paterno e sulla concreta possibilità per la compagna di sopportare in modo adeguato una novità di tale portata, con il peso e la responsabilità materiale e morale che essa comporterebbe.Sulla base delle suddette considerazioni, il Giudice torinese ha ritenuto fondato e legittimo il diritto della ricorrente di trasferirsi in altra città con le figlie e, al contempo, ha ritenuto necessaria la rimodulazione dei tempi e dei modi di visita delle figlie con il padre in modo da garantire alle stesse il diritto alla bi genitorialità e, al padre, l’esercizio della responsabilità genitoriale, tenendo, dunque, conto della distanza esistente tra le abitazioni dei genitori e, quindi, compensando maggiori tempi di permanenza delle figlie con il padre durante le vacanze estive e le festività con la inevitabile riduzione degli incontri infrasettimanali.  Aumenta quindi il contributo a carico dell’uomo, e non solo perché le esigenze delle minori sono cresciuta dal tempo della separazione: ora le bambine stanno più tempo con la madre, che ha dovuto affittare una casa a Livorno e dunque perde l’assegnazione dell’abitazione familiare. Una volta al mese spetterà alla mamma sostenere il viaggio di andata e ritorno per consentire di vedere i figli al padre, al quale però è stato aumentato l’assegno a suo carico.
Motivi della decisione
 

 

  • Minori: casa coniugale obbligatoria

APS/  maggio 26, 2015/  CassazioneSentenze Utili/  0 comments

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Corte di Cassazione, sentenza n. 43292/2013. IL CONIUGE SEPARATO NON PUÒ TRASFERIRSI IMPEDENDO ALL’ALTRO LA FREQUENTAZIONE DEL FIGLIO.

La madre di una minore non può vivere in Sicilia se la casa coniugale e l’ex marito stanno a Trento.La Corte di cassazione, con la sentenza n. 43292, ha confermato la condanna per la mancata esecuzione dolosa degli obblighi del giudice (articolo 388 del codice penale) nei confronti della ricorrente, madre di una bambina di otto mesi, che aveva pensato di mettere più strada possibile tra lei e il suo ex marito andando a vivere in un paese dell’estremo sud mentre il padre della piccola viveva in una città dell’estremo nord. Questo malgrado l’esistenza di un provvedimento presidenziale in cui veniva specificato che la bambina doveva vivere nella casa coniugale in provincia di Trento, presso la madre,mentre il padre aveva il diritto di farle visita anche durante la settimana.

Una scelta fatta in considerazione dell’interesse della neonata a non interrompere il rapporto con il proprio genitore, per evitare «l’irreparabile pregiudizio potenzialmente derivante alla stessa all’assenza di continuità e costanza nella frequentazione paterna».

La Cassazione si trova d’accordo con i giudici di merito che avevano preso le distanze dalla tesi della difesa della donna che parlava di imposizione “coatta” di una residenza alla madre, affermando al contrario la preminenza «dell’interesse di una bambina di otto mesi, che, allontanata per lunghi periodi dalla figura paterna, ben può patire effetti irreversibili nel rapporto con il genitore».

Fiacchi anche i tentativi di affermare l’impossibilità di eseguire gli obblighi del tribunale per un problema di competenza territoriale tra il giudice siciliano e quello trentino.

La Cassazione spiega, infatti, che il luogo di consumazione del reato, coincide con il luogo dell’inottemperanza all’obbligo di consegna della figlia al padre perché diversamente si darebbe modo alla parte inadempiente, di scegliersi il giudice.

Ancora peggio va quando la “fuggiasca” afferma la correttezza del suo comportamento.

Secondo la ricorrente il reato sarebbe stato ingiustamente contestato, perché lei si era limitata a trasferirsi in un’altra città senza mettere in atto nessuna azione per impedire al padre di esercitare il suo diritto a far visita alla figlia.

La Cassazione ricorda che il reato per il mancato rispetto degli obblighi del giudice scatta per «qualunque atteggiamento dal quale deriva una frustrazione delle legittime pretese altrui, ivi compresi gli atteggiamenti di mero carattere omissivo,quando questi siano finalizzati ad ostacolare ed impedire di fatto l’esercizio del diritto di visita e di frequentazione della prole (sentenza 33719/2010)